L'articolo
di Anna Zafesova apparso il 6 dicembre su Il Sole 24 Ore ci
permette di fare alcune riflessioni a partire dall'esito del
Referendum costituzionale. Innanzitutto rende evidente a tutti che la
lotta di classe continua ad esistere (ed è giusto combatterla tutti
i giorni), ma che persiste anche una lotta di classe al contrario,
dei dominanti sui dominati.
Le
politiche degli ultimi anni rientrano perfettamente in questo
scenario: dall'attacco ai diritti dei lavoratori attraverso
controriforme come il Jobs Act, il cui obbiettivo è ridurre
ulteriormente le garanzie in nome della competitività, alla svendita
della scuola pubblica ai privati come previsto dalla cosiddetta - con
grande slancio ironico - “Buona Scuola”, grazie alla quale si è
palesata una volta per tutte la volontà di introdurre all'interno
degli istituti superiori logiche biecamente aziendalistiche, nascondendole dietro la false-flag della meritocrazia.
In questo contesto tutti coloro che si sono opposti all'approvazione della riforma costituzionale sono tacciati dalla Zafesova di essere ignoranti, bamboccioni e conservatori che hanno impedito al paese di imboccare la strada del progresso e del cambiamento. È invece necessario affermare che, più che al cambiamento, milioni di persone si sono opposte alla linea continua delle politiche neo-liberiste del governo Renzi, di cui quelli sopra sono due esempi tra i tanti.
Si dirà
che il Referendum concerneva la riforma costituzionale e che quindi
parlare di politiche neo-liberiste è fuori luogo. Invece no. La
riforma era chiara espressione di quel tipo di politica, di quel tipo
di visione del mondo: la stabilità e la governabilità, che la
riforma avrebbe dovuto garantire, significano campo aperto per
l'esecutivo di turno verso l'approvazione di riforme imposte dal
potere finanziario internazionale.
Il dato
di fatto, e non è dietrologia da quattro soldi, è che la riforma
eseguiva volontariamente, o per i più ottimisti, involontariamente,
le richieste della Jp Morgan che, in un documento del 28 maggio 2013
dal titolo “Aggiustamenti nell'area euro”, asseriva che «I
problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che i sistemi
politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito
alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza.
Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e
in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di
sinistra dopo la sconfitta del fascismo».
Concludendo
che «I sistemi politici e costituzionali del Sud
Europa presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei
confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle
regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecniche
di costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di
protestare se i cambiamenti sono sgraditi. La crisi ha illustrato a
quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della
periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi
di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati
nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità
locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e
Grecia)».
É dunque evidente che non ci si è
opposti al cambiamento, ma alla conservazione di un assetto politico
che è sempre stato un avamposto degli interessi del mercato fine a
se stesso, cadendo in quello che Gramsci definiva “cretinismo
economico”. Cretinismo economico in cui cade la stessa Anna
Zafesova quando scrive che: “Le leggi dell'economia sono
inesorabili quanto quelle della fisica”, che equivale ad affermare
che il sistema capitalista è sempre esistito e sempre esisterà,
allo stesso modo dello sfruttamento insito al suo interno. Davvero?
Se da una parte si può dire che
la Teoria della Gravità di Newton è sempre esistita anche prima che
le venisse dato un nome – ovvero, che il fenomeno descritto dalla
legge esisteva anche prima della sua scoperta - la stessa cosa non si
può dire per il modello economico vigente. Sarebbe sufficiente sfogliare un libro di storia per scoprire che nel mondo sono esistiti e
si sono susseguiti innumerevoli modelli economici, non tutti per
forza coincidenti con le esigenze delle classi dirigenti (o dei
“vincenti”, come preferisce definirli la Zafesova…). L'idea di
una naturalità delle leggi di mercato, evidentemente, manca di
prospettiva storica e quindi di senso logico.
La demonizzazione dei diritti
sociali, che dovrebbero garantire la possibilità di progettare il
futuro, permette di trasformare gli stessi in privilegi e,
conseguentemente, di far passare l'idea che chi rivendica i suoi
diritti stia in realtà proteggendo i suoi privilegi. E, allora, chi
non accetta di emigrare e preferisce lottare per ottenere quei
diritti sociali minimi che gli permettano di vivere una vita
dignitosa, di comprarsi una casa, di avere una famiglia, viene
bollato come nostalgico di un mondo ormai passato che è inutile
rievocare.
Nell'ultimo periodo si assiste
sempre più spesso alla comparsa sui quotidiani di “Rubriche” che
raccontano ed elogiano le storie di italiani che hanno lasciato tutto
e sono andati all'estero per fare fortuna; inutile aggiungere che il
lieto fine di queste storie consiste sempre nella realizzazione di
versioni più o meno aderenti al canone del cosiddetto “sogno
americano”. E così, si fa l'elogio dell'uomo (o della donna) senza
radici, dell'uomo che si è fatto da solo, dell'uomo che ha
realizzato il suo sogno senza gravare sullo Stato. Si ripete che
bisogna puntare sulla meritocrazia, sulla competitività, e che
bisogna valorizzare le eccellenze. Ora, anche qualora volessimo
adagiarci su questo storytelling, è quantomai evidente che le
eccellenze in quanto tali sono poche; è semmai necessario chiedersi
chi pensa alle persone comuni, a coloro che non finiranno mai sulle
copertine dei giornali patinati ma – per la Zafesova è stato un
brutto colpo scoprirlo - esistono e costituiscono la maggioranza
della popolazione.
I giovani hanno votato No perchè
si rendono conto che con le politiche neo-liberiste l'unica cosa che
possono ottenere è un bene di consumo a basso costo, magari anche
una vacanza all'estero Low Cost, ma sicuramente non avranno un
lavoro, (si veda alla voce “40% di disoccupazione giovanile”), e
non certo per colpa di una mentalità provinciale o da bamboccioni...
E allora se “i sogni che in
Italia non si devono avverare” sono quelli dei sostenitori del Sì,
che non hanno votato per il cambiamento, ma semplicemente per
mantenere e rafforzare i loro, in questo caso sì, privilegi - si vedano i risultati del voto nel centro di Milano, della Milano bene dellaScala e della Borsa dove il Sì ha stravinto con il 65% - forse è
giusto che non si avverino.
Se il progresso è rappresentato
dai negozi aperti la domenica, dagli studenti che lavorano gratis per
le multinazionali, dai precari pagati a voucher, dalle aziende che
delocalizzano, o dalla figura emergente dell'uomo senza radici,
allora il governo e il clero giornalistico mentono sapendo di mentire
quando descrivono quadri del tutto lontani dalla realtà sociale che
li circonda. Per questo motivo hanno deciso di esporsi, una volta per
tutte, rimarcando la propria appartenenza alla fazione dei pochi che
controllano il presunto progresso a scapito di quelli che ne escono
schiavi, cioè noi.