giovedì 8 giugno 2017

Se il comune usa il pugno di ferro contro la "movida". Qualche riflessione in merito...

Con un tempismo impressionante arriva la prima risposta del Comune sulla questione della "movida": il provvedimento riguarda una stretta sul consumo di alcolici da asporto. Da domani sera scatterà infatti il divieto di vendere alcolici e superalcolici da asporto dalle 20 fino alle 6 del mattino nei quartieri di San Salvario e di Vanchiglia. Facendosi scudo con quanto accaduto in Piazza San Carlo in occasione della partita Juve-Real Madrid, l'amministrazione locale può finalmente mostrare il pugno di ferro contro la “malamovida” cittadina prendendosela, come prevedibile, con la pratica che mette meno in discussione le dinamiche di speculazione economica che sottostanno al fenomeno del divertimento serale nei quartieri universitari e del centro città.

Vietare fenomeni come il botellon secondo noi significa vietare automaticamente tutte quelle forme di socialità autorganizzate che esulano dall'essere semplici clienti di bar e locali alla moda; significa vietare feste come quella da noi promossa in università la scorsa settimana, significa vietare le feste al parco del Valentino o le occupazioni a scopo ricreativo in tutta la città. Dall'altra parte, ciò significa incentivare il consumo di alcool solo in quei posti in grado di trarne un profitto economico, proponendo nulla se non l'obbligo di spendere tanto denaro per un'offerta minima (perché se la questione è provare a stare insieme e chiacchierare siamo capacissimi di farlo senza pagare 8 euro per un cocktail...).


Per non farci mancare nulla, vorremmo fare notare che se il problema consiste nella movida, ci interessa allora definire cosa sia quest'ultima: per quanto ci riguarda la movida è un dispositivo calato dall'alto, un tentativo di normalizzare la socialità serale relegandola in quartieri strutturati appositamente per farsi carico di questo onere, a fronte di una serie di fattori che provano, in tutti i modi, a snaturare la tradizionale morfologia dei quartieri stessi (aumento degli affitti, chiusura degli esercizi commerciali tradizionali, diminuzione dei serivizi, ecc...). Il problema si verifica poi nel momento in cui, dopo avere ghettizzato questi quartieri trasformandoli in parchi giochi per la speculazione, li si reputa un problema per la città, si approntano misure di controllo straordinarie e così la giostra può ripartire, magari spostandosi di qualche isolato. È successo con i Murazzi, passati da epicentro della cultura musicale torinese a deserto sociale, succede ora con Vanchiglia e San Salvario.

Ora, non vogliamo passare come strenui difensori del divertimento serale fine a se stesso, del quale vediamo ovviamente tutti i limiti e i problemi che ne derivano. Ci interessa però porre la questione in modo che, per una volta, siano gli attori interessati da queste decisioni emergenziali a prendere parola e discutere collettivamente su come intervenire. Fatti come quelli di Piazza San Carlo ci restituiscono tanti dati, il più importante rimane quello sull'ansia securitaria utilizzata a scopi politici per raggiungere obiettivi assai meno nobili della prevenzione al terrorismo. La ricerca del capro espiatorio è stata rapida e ha interessato l'attore meno responsabile per quanto accaduto, ma ha permesso un'applicazione in tempi rapidissimi di provvedimenti che questa città non aveva mai conosciuto.

Vorremmo, quindi, trovare un modo per fare sì che i nostri quartieri non diventino deserti della speculazione gestiti manu militari da vigilantes che agiscono in nome del decoro (il ministro degli Interni Minniti, in visita a Torino, ha sottolineato un piano di “integrazione fra le forze di sicurezza e l’esercito” per gestire le piazze...); vogliamo poterci bere una birra all'aperto senza essere multati, vogliamo andare ai concerti in piazza senza il rischio di morire asfissiati, e allo stesso tempo vogliamo esprimerci liberamente sul problema degli affitti, degli ospedali, della nostra università o dei mercati rionali.